Lettera n. 020 - Uno, Uno e Nessuno
Paura verso il futuro, solitudine e la pretesa di risolvere problemi globali con soluzioni individuali e individualistiche. Come sopravvivere all'epoca dell'Uno?
Ce l’hai un sogno?
Qual è il tuo sogno?
Un sogno ad occhi aperti, qualcosa che non sia così folle da essere un’illusione, ma che potrebbe potenzialmente essere realizzabile, pur dedicandogli una quantità enorme di tempo, denaro, energie ed entusiasmo.
Ti lascio qualche secondo per rispondere a queste due domande, poi puoi pure continuare (e io passerò alla seconda persona plurale).
Il titolo della newsletter di questo mese “Uno, Uno e nessuno” è ovviamente un richiamo al pirandelliano “Uno, nessuno e centomila”, plasmato per parlare dei temi di oggi: individualismo, solitudine, sogni.
Viviamo un’epoca di individualismo sfrenato.
In uno dei miei racconti preferiti, La Zattera, uscito per la prima volta nel 2020, parlavo dell’individualismo e soprattutto del bisogno di trovare delle soluzioni globali e collettive a problemi globali e collettivi, ed è una cosa in cui credo ancora oggi.
I problemi di portata globale - per citarne alcuni: crisi ambientali, economiche, demografiche, geopolitiche, frammentazione politica, guerre - venivano rappresentati come un mare in tempesta, che era necessario affrontare.
A quel punto, ciascuno aveva metaforicamente del legname e dei materiali da utilizzare. Li si può utilizzare per costruire una piccola zattera, e provare a salvarsi dal mare, oppure organizzarli, unirli e gestirli per costruire una gigantesca nave.
Ovviamente il legname e i materiali sono le risorse di cui ciascuno di noi dispone; la zattera sono le soluzioni individuali che ciascuno adotta, mentre la grande nave sarebbe lo sforzo collettivo, somma degli impegni individuali di ciascuno.
Per come la vedo io, La Zattera è la soluzione generalmente preferita.
Credo sia evidente, e sarei contento di essere smentito, che molti dei piccoli grandi problemi del mondo (chiamateli “First World Problems”, se vi fa sentire meglio) abbiano una portata collettiva, globale, eppure per qualche motivo ci ostiniamo a voler trovare soluzioni individuali e individualistiche.
C’è la permacrisi? Provo a guadagnare più soldi per cavarmela
Al lavoro va male? Mi dimetto
La distopia dei social media ci sta distruggendo? Mi cancello i profili e faccio detox (qualsiasi cosa questo significhi)
Il che fa quasi ridere, perché l’individualismo imperante è entrato così tanto in noi da porsi come soluzione ai problemi stessi che ha causato.
Il senso di collettività è disgregato, distrutto, quasi inimmaginabile. Non ci si parla più, ci si chiude in bolle ideologiche di consenso, ogni persona che la pensa diversamente da noi dev’essere cancellata e umiliata. Nel dibattito ci sono solo nemici, mai persone come noi.
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Vi ricordate la domanda del sogno che ho fatto in apertura?
Quanti di voi hanno pensato a un sogno collettivo? Quanti un sogno totalmente slegato dalla sfera di realizzazione personale e professionale?
Queste domande, queste riflessioni, sono anche strettamente legate al tema del lavoro, alla sempre più diffusa insofferenza che ne deriva, a quel senso di stanchezza che alcuni di noi provano davanti a questo sistema frenetico e autoreferenziale, dal quale non riusciamo a uscire.
Anzi, forse più di qualcuno, semplicemente molti non lo ammettono. Secondo il Workplace Report 2022 di Gallup, solo il 4% dei lavoratori in Italia si ritiene “coinvolto” nel proprio lavoro. 1 su 25. Un numero in cui forse si nascondono quelli che poi si elevano a paladini del lavoro, della gavetta, del sacrificio.
Insomma, ormai non è nuovo, specie a chi segue Mangiasogni, che un certo senso di stanchezza ci sta pervadendo: sul senso del lavoro, sulla velocità di ogni cosa, sul sacrificarsi sempre, le leggi di mercato, le disuguaglianze, i social pieni di personaggi che non hanno nulla da dire però riempiono i nostri feed, le nostre stories, le nostre giornate.
E quindi che fare, davanti a tutto questo?
Che fare se non si hanno sogni, se il futuro è fumoso e spaventoso, se le crisi arrivano con la stessa frequenza delle Olimpiadi erodendo mese dopo mese il nostro potere di acquisto, le nostre prospettive di stabilità e quel mondo immaginario con cui i nostri genitori ci hanno cresciuto?
Ci sono sicuramente le soluzioni individuali, quelle che è sicuramente più facile e spontaneo (questo sarebbe da verificare) percorrere. La Zattera, un master universitario, sgobbare per un aumento, trasferirsi lontano per fare job hopping.
Ma quante di queste soluzioni funzionano veramente? Quante effettivamente risolvono quel senso di stanchezza, saturazione e inquietudine che proviamo? Quante invece ci danno un temporaneo sollievo economico, magari ricambiato da un’enorme mole di stress e nuove difficoltà?
Credo, e arrivo al punto, che una delle tante sfide della nostra contemporaneità debba essere riprendere un senso della collettività. Se non per voglia, anche solo per necessità.
Nelle righe che precedono ho elencato solo alcuni dei problemi che vedo e vediamo, e sono certo che leggendo ve ne siano venuti in mente molti altri, e credo che siano legati a pattern simili, se non proprio a cause comuni.
No xé soldi, xé scelte de spesa.
Un caro amico, appassionato di ristoranti stellati, a chi sottolineava quanto fossero costose queste esperienze, rispose in dialetto: “no xé soldi, xé scelte de spesa” (non si tratta di soldi, ma di scelte di spesa).
Per collegarmi al tema della newsletter, rigiro un po’ questo breve concetto: come scegliamo di spendere le nostre risorse, intese come tempo, denaro, contatti, entusiasmo ecc…
le spendiamo in modo individuale, per trovare soluzioni individualistiche, o in modo collettivo?
Faccio un bizzarro esempio: cosa accadrebbe se tutte le brillanti e volenterose persone che ogni anno fanno un Master, decidessero di spendere quel tempo, quei soldi, il loro entusiasmo, la loro rete di relazioni e le loro capacità nella politica, nel volontariato, nell’associazionismo?
Dove saremmo se tutte quelle brillanti menti dedicassero, ad esempio, 50.000 euro ciascuno e 2 anni del proprio tempo, per la collettività?
Ovviamente è un gioco, ma sarebbe divertente provarlo davvero (se non ci fosse l’individualista e fondata paura che qualcuno poi non lo faccia e ci rubi posti di lavoro, occasioni ecc…)
Ripenso al bel passaggio di Scansatevi dalla luce, in cui James Williams osserva che è difficile staccarsi dai social perché le più brillanti menti del pianeta lavorano incessantemente per tenerci più possibile incollati agli schermi.
Ecco, rileggete bene. Le migliori menti del pianeta lavorano incessantemente per tenerci incollati a degli schermi. Senza spendere ulteriori riflessioni su poi cosa questi schermi trasmettano, o a chi vadano i preziosissimi dati personali e soldi che diamo, già questo dato è inquietante.
Nelle famigerate “scelte di spesa”, da oltre un decennio stiamo scegliendo di spendere infinite somme di denaro e di dedicare ottime abilità cognitive per incollare delle persone a degli schermi.
Non a curare malattie, eliminare le disuguaglianze, rendere prospera la società e serene le persone, ma a incollarci a schermi governati da pochissime megacorporation a scopo di lucro.
Viene naturale pensare che gli insegnamenti delle generazioni prima di noi, fatti di carriera, gavetta, sacrificio, casa con giardino e soddisfazioni esclusivamente individuali (e attraverso il mercato e il lavoro) siano stati potenziati e intensificati da un apparato comunicativo onnipotente e onnipresente, che da almeno un decennio detta quel che pensiamo, che vediamo, che ascoltiamo.
Non biasimo quindi chi, stretto tra insegnamenti individualistici e paura per il proprio futuro, decida di andare verso il “si salvi chi può” e non di immolarsi e dedicare soldi e tempo preziosi per un futuro collettivo. Pure io sono orientato nettamente verso questo tipo di pensieri e di azioni.
Viviamo tempi strani, vivremo tempi difficili, e in queste circostanze penso sia normale curare il proprio orticello e vedere come si va avanti.
Però ecco, se stesse proprio qui il problema?
E anche per questo mese di luglio, la newsletter finisce qui.
Come vedrete, anche attraverso il sistema di referral e ricompense, sto provando a far crescere questo spazio, con il desiderio un giorno di inserire anche qui disegni, storie, racconti e non solo riflessioni. Spero molto di riuscirci con il vostro aiuto, quindi spero mi aiuterete a far girare queste “Lettere da una civiltà in declino”, mi darete il vostro parere, commenterete ecc…
Per il resto, al momento le attività promozionali di Niente come prima sono sospese e riprenderanno a settembre. Se organizzate eventi, festival, ne conoscete, e avreste piacere ad avermi come ospite, contattatemi pure! Ne sarei davvero contento.
Rispondete pure alle domande che ho posto all’inizio della newsletter! Sono davvero curioso di conoscere i vostri sogni e le vostre riflessioni.
Come sempre un abbraccio,
Mangiasogni
I tuoi scritti risuonano davvero tanto con quelle che sono riflessioni che porto dentro di me da molto tempo. Leggerti consola e rafforza, condivisa vulnerabilità che si fa forza - forse grazie alla sua crudezza.
Incredibile come abbia scoperto per caso la tua pagina e ci trovi dentro tutto quello che penso e su cui rimugino da ormai tempo immemore. Mi sentivo solo in questi pensieri, incompreso dai più, e invece noto che ci sono sempre più persone che ragionano come me, come noi, e che sono afflitte dall'impossibilità di cambiare il piattissimo status quo in cui ci siamo ritrovati a "vivere". Come dici tu, basterebbe iniziare ad ammettere ad alta voce che esiste un problema, fare un'azione congiunta e non individuale. Il fatto che esistano pagine come la tua, mi sta dando la speranza che forse, piano piano, qualcosa di inimmaginabile potrà accadere.