Lettera n. 023 - Dove passano gli Influencer non cresce più l'erba
Decenni di impoverimento artistico e informativo: che ne sarà di noi?
Mi è capitato di leggere questa frase, a cui penso da giorni:
Elezioni 2060.
La base elettorale è composta prevalentemente da iPad Kids. L’Algoritmo è in cima alla catena alimentare: ha vinto.
Lo so, questa è la seconda newsletter consecutiva che scrivo su questi temi. Saranno le letture che sto facendo, sarà la preparazione del TED Talk (ci torno dopo), saranno le riflessioni di questi mesi, ma penso che possiamo imparare davvero tanto da Internet e dalla nostra nuova vita ibrida.
Il medio-lungo termine
Elezioni 2060, dicevamo. Credo che quella frase mi abbia colpito così tanto perché mi ha fatto pensare a una cosa banalissima, che per qualche motivo avevo sempre ignorato, ovvero gli effetti a lungo termine del nuovo modo di vivere le nostre vite.
Come saremo nel 2060? Cosa penseremo? Come saremo influenzati dal pensiero istantaneo-veloce-superficiale-snack che sta imperando negli ultimi anni?
Inizierei con il dire che non credo sarà un problema solo degli iPad Kids o delle generazioni che verranno dopo di loro. Nel 2060 io non avrò nemmeno 70 anni, probabilmente me ne mancheranno 30 per la pensione, e come me tantissimi che oggi si definiscono “Millennials” o “Gen Z”.
Soprattutto i primi, quando si parla degli effetti di smartphone e social su concentrazione, attenzione e socialità, tendono a rifugiarsi dietro all’idea di aver vissuto molto tempo “nel Mondo Prima”, e quindi di essere depositari di conoscenze e modi di vivere preziosi, che forse li salveranno da tutto ciò.
Ecco, io non concordo.
E’ vero, avevo 19 anni suonati quando la rivoluzione social è entrata con prepotenza in Italia, con l’adozione di massa degli smartphone e della pervasività delle piattaforme “dalla-sveglia-al-sonno”, e quindi ho avuto la fortuna di vivere la mia intera infanzia e adolescenza in un mondo diverso, sicuramente più lento e noioso (cose che io reputo buone).
Però quello stile di vita, quelle abitudini, quella lentezza, noia e concentrazione che tanto ci danno, devono essere coltivati. Non possono essere solo un motivo di vanto quasi boomeristico di “esserci stati quando le cose andavano meglio”, ma un’ispirazione quotidiana per agire in modo diverso, accorgersi dei fenomeni e provare a parlarne, a cambiarli.
Purtroppo, non è così facile.
Il fast-food delle informazioni
Lo sappiamo da sempre. E’ la scarsità a rendere le cose preziose, a dare loro valore.
Dal nostro primo momento consapevole in un fast-food sappiamo che se una cosa arriva in enormi quantità, facilmente disponibile e a basso prezzo, è verosimile che quella cosa sia di scarsa qualità, e soprattutto che abbia un prezzo nascosto, che non paghiamo solo noi, ma è distribuito.
Mi spiego meglio: i panini di McDonald’s o di Burger King costano poco, sono reperibili ovunque, ne troviamo in quantità enormi ma non ci fanno bene, e il loro prezzo basso viene pagato in termini di allevamenti intensivi, sfruttamento delle risorse idriche, supporto di multinazionali miliardarie e, in altri casi analoghi (ultra-fast fashion?) anche sfruttamento del lavoro.
Questo ci è chiaro da sempre, ed è un dato su cui poi ciascuno si gestisce in base alla propria bussola morale.
Oggi i social ci forniscono informazione, intrattenimento, arte e divulgazione in enormi quantità, facilmente disponibile e a basso prezzo (spesso 0, per l’utente finale).
Possiamo quindi dire che tutto ciò sia di scarsa qualità e con un prezzo nascosto come un panino da fast-food? Sì.
Mi spiego meglio: non è che tutto ciò che vediamo sui social sia scarso - lancerei anche un attacco gratuito a me stesso - ma posso senz’altro dire che le cose che leggiamo, vediamo o ascoltiamo, specie quelle di maggior successo, hanno una cosa in comune: obbediscono agli algoritmi.
L’algoritmo è spietato: se non segui i suoi desiderata, se non sei interessante o accattivante, non vieni visto. Questo genera un sistema di incentivi nei c.d. Creator, perché ciascuno di loro sa che se vuole crescere sui social e avere accesso a tutte le golosità che ne derivano - libri, collaborazioni, donazioni, post sponsorizzati, notorietà - deve assecondare l’algoritmo o sperare (in una logica decisamente non-imprenditoriale) che un giorno l’algoritmo decida di premiare ciò che ha sempre creato spontaneamente.
Un incentivo a cui corrisponde un disincentivo: nessuna persona o ente interessato a costruire un business sui social deciderà di fare cose che l’algoritmo non gradisce, e sacrificherà l’inventiva, la sperimentazione, il coraggio di dire quella cosa che andrebbe detta, di fare ciò che andrebbe fatto.
Un discorso che non riguarda solo l’appiattimento alle regole dell’algoritmo ma anche ai suoi ritmi: o produci tanto e sempre, o sparisci. Non sono rari i casi di burnout dei Creator perché oggi si deve produrre a ritmi altissimi, e se possibile anche produrre interazioni intermedie - stories, dietro le quinte, sondaggi - per tenere alta l’attenzione tra un contenuto e un altro.
Un ritmo che necessariamente fagocita l’approfondimento, la lentezza, la sperimentazione che sono fondamentali nell’arte e senz’altro utili nella divulgazione, nell’attivismo, nell’intrattenimento.
Il prezzo nascosto
E qui stiamo entrando già nel secondo punto: il prezzo nascosto, o i prezzi nascosti.
Parlando strettamente di soldi, non paghiamo nulla per l’uso dei social, e paghiamo pochi euro al mese per Spotify, Apple Music e simili.
D’altra parte, è ormai arcinoto che ogni singola interazione con uno smartphone-tablet-smartwatch-smart tv-assistente domestico-smart car produce un’enorme quantità di valore non retribuito, una mole di dati che ci profila, viene venduta e utilizzata per modelli previsionali (Varoufakis parla di “Servi della Gleba del cloud”), ma l’altro prezzo nascosto è il rischio di un impoverimento complessivo dell’offerta creativa, informativa e politica.
Torniamo a quelle famigerate elezioni del 2060, e diamo per scontato che il mondo resti simile a quello di oggi (affatto scontato, lo so).
Dopo circa 60 anni di creazioni artistiche, campagne di attivismo e mezzi di informazione iper veloci, drogati dal bisogno dell’istantaneità, prodotti per seguire le mutevoli regole dell’algoritmo al fine di ricavarne una carriera, come saremo messi?
Il prezzo nascosto che rischiamo di pagare nel medio-lungo termine è di abituarci, arrenderci a tutto questo. Ricevere per decenni solo stimoli e informazioni che seguono regole di opportunità, profitto, rapidità, trend.
Una cosa da cui non sono salvi nemmeno i Millennials che godono di aver visto il Mondo Prima ma che, come me, passano ore ogni settimana sui social, o su siti che comunicano nella speranza di acchiappare le attenzioni dei social.
L’utente-consumatore
Lo scenario, me ne rendo conto, è inquietante.
Che mondo sarà quello in cui la stragrande maggioranza delle persone sarà allevata, educata, informata e stimolata così? E’ una domanda che trovo giusto porci, specie dopo circa 15 anni di dominio delle piattaforme.
C’è una scelta inconsapevole che abbiamo fatto, come utenti-consumatori: avere tutto gratis, invece che avere meno pagandolo il giusto.
Questo ha creato un’enormità di effetti positivi: un accesso all’informazione mai visto prima, conoscere molti artisti, talenti che possono emergere, la possibilità di provare qualcosa e vedere se ci piace, prima di spenderci soldi. Ha reso sostanzialmente l’accesso a tutto più democratico, inclusivo, per tutte le tasche.
D’altra parte però, come ho provato a illustrare sopra, gli effetti negativi non mancano.
E quindi che si fa?
In quanto utenti-consumatori possiamo esercitare le tipiche leve del consumatore. Così come il consumatore di fast-food può orientare le sue scelte etiche, dalla limitazione al boicottaggio totale, noi possiamo fare lo stesso anche nelle vesti di utenti-consumatori delle piattaforme e dei contenuti a base di algoritmo.
Certamente la sfera sociale di un hamburger non è la stessa dell’utilizzo ormai totale e pervasivo di smartphone e social, però ci sono delle aree di intervento in cui secondo me possiamo fare la differenza.
Ad esempio, riprendendo a spendere per ciò che ci piace.
Vi ricordate quando si compravano i dischi, i libri, i fumetti? Ecco, fare lo stesso.
Ci piace un creator, un attivista, una testata di informazione online? Supportiamola, mostriamole che può vivere fuori da tutto questo, che può permettersi il tempo di osare, di aspettare, di elaborare, di approfondire.
Ogni Creator fornisce infiniti modi per essere supportato, e per quanto le crisi economiche siano severe e la paura per il futuro sia tanta, tranne casi limite ci sono somme di denaro che tutti più o meno abbiamo in tasca: dobbiamo solo scegliere come spenderle.
Un po’ di aggiornamenti finali
Dopo una newsletter così, annunciare la riapertura del mio Ko-fi sarebbe una paraculata incredibile. Ad oggi, comprare il mio romanzo “Niente come prima” è il miglior modo per supportarmi, ma non escludo che in futuro riaprirò profili di crowdfunding, per capire se potrò essere libero dall’algoritmo e dalla sua morsa soporifera;
Se questa newsletter vi è piaciuta, mandatela a qualcuno, fatela girare! Ad oggi è uno spazio libero dalle cose che ho detto sopra, e sarà sempre più utile;
Il 29 giugno sarò a Castelfranco Veneto! Sono tra gli speaker di TEDx, dove parlerò di futuro. Ci sarà un bel focus sulla speranza e sui passi da fare, che è una cosa che so che in tanti mi chiedete: non solo luce sui problemi, ma spiragli di un futuro;
Mi piace molto parlare ad eventi dal vivo. Se ne organizzi uno o vuoi invitarmi scrivimi qui!
Sto lavorando a molti testi, che spero di tradurre presto in qualcosa. Non solo narrativa, dove sono in fase molto embrionale di trattativa, ma vorrei anche raccogliere tutte queste idee in un libricino, vediamo cosa mi viene in mente.
Per il resto, grazie come sempre dell’enorme supporto che mi date. Google mi riconosce come “Personalità di internet”, e ve ne sarò sempre grato.
Un abbraccione,
Mangiasogni