Lettera n.008 - Abisso
L'alito gelido della Guerra mette sotto una nuova prospettiva un mondo che consideravamo assoluto e immutabile.
Ciao,
guardo dentro questa voragine profondissima, e vedo solo tenebra.
In queste Lettere da una civiltà in declino, caro amico, provo a raccontarti ogni mese com’è ridotto il mio mondo, sperando che tu le leggerai da un luogo diverso, più sicuro e rassicurante.
I flebili spiragli di luce che mi illuminavano verso il futuro sono stati spenti da uno spirito del passato, che col suo alito gelido riempie la nostra memoria collettiva di immagini, parole e suoni che speravamo non appartenessero più a questa epoca.
Quando ho iniziato questo viaggio inconsapevole nel Regno del Male, non avrei mai potuto immaginare quanta oscurità vi si potesse celare.
Ora spero di saperlo.
Per chi avesse ricevuto qualche spoiler nei giorni precedenti, devo precisare che la Newsletter prevista inizialmente per Marzo - intitolata “Il mondo dopo” sul tema del mondo post-Covid - è stata sostituita con questa. Io vi giuro, ci provo anche a essere leggero nei temi e nei toni, ma poi mi viene ricordato il mio ruolo, ed eccoci qui, davanti all’Abisso.
Manterrò anche su questo luogo la linea che ho scelto di adottare come Mangiasogni sul tema Guerra in Ucraina, che ripeto per comodità: non sono un esperto, non mi fingerò tale. Non farò alcuna valutazione politica o geopolitica sugli interessi in gioco, le sanzioni, la situazione, e invito tutti - me compreso - ad informarsi solo presso canali ufficiali e competenti.
Detto questo, da dove cominciamo?
Cominciamo da una certezza: la Guerra va condannata sempre, senza esclusione. Una guerra d’invasione in particolar modo.
Probabilmente ci vorrebbe un’altra newsletter o un libro intero per parlare di quanto in realtà non si sia mai smesso di combattere e di morire in aree del Pianeta più sfortunate del Primo Mondo in cui abbiamo l’autentico privilegio di vivere, e di quanto queste guerre e questi morti siano sempre continuati di fatto nel nostro disinteresse quasi assoluto, ma non voglio soffermarmi su questo oggi, consapevole che purtroppo avremo mille occasioni per parlarne.
Oggi vorrei, consapevole di essere egoista, parlare di Noi: del Primo Mondo, delle cose date per scontate e del nostro futuro.
L’invasione russa in Ucraina ha avuto l’indegno compito di insegnarci moltissime cose in pochi giorni, e di farci accorgere di cose che abbiamo sempre saputo e abbiamo deciso di ignorare, minimizzare, delegare ad altri.
Non c’è ricchezza, serenità o prosperità per le nostre generazioni.
Inizio da questo, il mio argomento preferito. Mangiasogni parla tendenzialmente di questo, sia quando faccio i post più intimi/introspettivi che quando ne faccio di più sociali/politici.
Credo che una grave colpa delle nostre generazioni, riferendomi in particolar modo alle persone tra i 20 e i 40 anni, sia quella di aver sempre sottovalutato la portata degli eventi nocivi che ci circondano da ben prima delle nostre nascite.
Crisi economiche (lo ricordo: ben due crisi mondiali tra 2008 e 2020, questo vuol dire che un nato nel 1990 ha subito una crisi economica mondiale a 18 anni, appena diplomato, e a 30, nel momento in cui la sua carriera avrebbe dovuto prendere il via); crisi ambientali; crisi sociali e psicologiche (depressione e ansie ormai diffusissime, paralisi sociale); crisi politiche, con frammentazione del tessuto sociale e diffidenza diffuse.
Tutto questo è avvenuto nella nostra sostanziale indifferenza, se non con reazioni davvero sporadiche e debolissime, certamente insufficienti per qualsiasi risultato che si possa definire anche solo decente.
La motivazione che mi sono sempre dato, dopo averci pensato su per anni, è che questi problemi hanno la caratteristica di essere subdoli, sibillini.
Siamo nel Primo Mondo, quindi la crisi economica non è un problema serio finché abbiamo i nostri genitori ad aiutarci e possiamo fare aperitivo ogni sabato alle 18:00; la crisi ambientale vabbè, esploderà quando saremo morti; le altre crisi? Si possono risolvere agevolmente con qualche memino, facendo “quelli cinici”, rifugiandoci nel mondo social che ci pulisce la coscienza.
In tutto questo, il dramma dell’invasione ha la funzione di essere un’orrenda sveglia, che ci desta da un silenzioso incubo per portarci in una realtà altrettanto cupa, con la consapevolezza che non possiamo più dormire, ignorare, minimizzare.
Una guerra alle porte dell’Europa mette in dubbio tantissime nostre certezze - torneremo su questo - ed è un segnale decisamente meno sibillino e subdolo di altri, che ricorda che il tempo delle nostre responsabilità come abitanti del Mondo è giunto.
La Storia è relativa.
La critica che viene mossa più spesso a chi parla con forza della guerra in corso è che le guerre ci sono sempre state, anzi ce n’erano già mentre è scoppiata l’invasione ucraina ma non avevano mai goduto di questo clamore mediatico, questo supporto globale, questa attenzione.
Non è mia intenzione parlare di morti o guerre di “Serie A” o di “Serie B”, così come non voglio soffermarmi troppo sui motivi che rendono questa guerra in particolare molto più “vicina” a noi rispetto ad altre. La cosa su cui voglio soffermarmi è l’importanza del tentativo di relativizzare.
“Ci sono sempre state guerre”, “pensa ai ragazzi di inizio 900 che hanno fatto guerra mondiale, influenza spagnola e crisi”, “ci sono guerre in ogni parte del mondo”… vuol dire prendere un singolo evento e contestualizzarlo, metterlo davanti all’enormità della nostra Storia.
Perché è importantissimo questo?
Perché molti dei temi che vengono trattati con Mangiasogni - il capitalismo, la solitudine, la tecnodipendenza, l’insoddisfazione delle nostre epoche - sono temi relativi, o figli di temi relativi.
Il senso di impotenza che ci attanaglia quando affrontiamo questi temi è spesso legata a una loro percezione assoluta, riprendendo alcuni adagi storici come “There is no alternative” (M. Thatcher) o “E’ più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” (F. Jameson o S. Zizek).
La verità è che questi fenomeni non sono assoluti. Sconfiggerli o superarli è estremamente difficile per ragioni spesso raffigurate nei miei racconti, ma tra queste non deve esserci la percezione che “ormai è così” o “cosa ci possiamo fare”, perché ogni fenomeno umano ha inizio, svolgimento e fine, comprese le “dittature” (mai l’uso delle virgolette fu più appropriato come in queste settimane) dell’ipertecnologia e del sistema a trazione capitalistica che ci rendono così tristi, impotenti e disillusi.
E qui mi collego direttamente al prossimo “insegnamento” che possiamo trarre da queste dolorose vicende.
Tutto può cambiare.
A proposito di relativizzazione della Storia, il mondo come lo conosciamo esiste solo da 30 anni circa.
Chi è nato ad esempio nel 1991 c’era già quando l’Unione Sovietica era ancora in piedi e si stavano muovendo gli ultimi passi della Guerra Fredda - erano davvero gli ultimi? La Guerra Fredda è mai finita per davvero? Questo lascio dirlo a esperti e analisti, io mi occupo di altro.
Noi, europei degli anni Venti del Ventunesimo secolo, abbiamo avuto la grandissima fortuna di nascere e crescere in un periodo di pace relativa particolarmente lungo, visto che conflitti di scala epocale non ci coinvolgono direttamente dagli anni ‘40 e tutti noi non abbiamo neanche il vago sentore di cosa significhi sentirsi in guerra, in tensione, in preoccupazione per il nostro futuro.
Questo ha fatto in modo che si cristallizzasse quella visione assolutistica della storia di cui parlavo poco sopra: il mondo ormai è così, non sarà mai diversamente.
Per questo probabilmente molti di noi hanno pianificato le proprie vite senza mai immaginare grossi strappi politici o geopolitici, nel bene e nel male.
Nel bene perché tutti noi ci siamo visti prima o poi anziani, a parlare ai nostri nipotini davanti a un caminetto. Magari poveri, ammaccati, arrivati lì dopo 1000 piccole/grandi difficoltà, però prima o poi ci vediamo tutti lì, al sicuro. Mai ci ha balenato nella mente l’idea di trovarci chiusi in un centro commerciale col mitra in mano a tendere agguati ai nemici, come sta accadendo proprio in questo momento a molti nostri coetanei.
Nel male perché questo ci ha dato un forte senso di rassegnazione, di disillusione. La nostra vita può donarci margini di libertà davvero ampi - che facoltà fare, non farla affatto, scegliere tra tantissimi lavori, molti dei quali resi possibili dai social e dagli smartphone - ma una libertà sempre chiusa in binari che abbiamo ritenuto indiscutibili. Il nostro mondo è così, e sarà sempre così. Puoi fare quel che vuoi, se ti tieni nei binari dettati dal capitalismo, dalla vita come la conosciamo, dalla società.
Abbiamo dato per scontato che ogni evento ormai fosse di portata mondiale: ai Mondiali ci vengono tutti, all’Eurovision pure, basta un pomeriggio su Skyscanner per staccare un biglietto aereo per un qualsiasi luogo del mondo.
Un mondo globale e globalizzato.
Ora scopriamo che potrebbe non essere più così, che la Russia uscirà dal mondo come lo conosciamo portandosi dietro altri Stati. Che ai Mondiali non ci saremo tutti, all’Eurovision nemmeno, che su Skyscanner ci saranno posti in cui non potremo andare.
Persino internet, il grande unificatore della nostra epoca, non sarà più tale.
Cosa vuol dire questo? Vuol dire che Thatcher si sbagliava, che alternative ci sono, che un mondo fuori dai binari dettati negli ultimi 30-40 anni si può immaginare, se si vuole farlo.
Ovviamente è drammatico oltre che deludente esserci arrivati così, con un fortissimo strappo geopolitico che costa e sta costando tantissime vite umane, sofferenza e dolore. Forse siamo fatti così, forse senza dolore e senza strappi non riusciamo a capire.
Quello che vorrei che restasse da questa Lettera da una civiltà in declino n.008 è soprattutto che il mondo è relativo, la Storia è relativa, e la nostra disillusione forse non è giustificata.
Il mondo cambia, e se il mondo cambia, vuol dire che si può cambiare.
Se siete arrivati fino a qui, vi ringrazio.
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