Lettera n. 029 - DEATH TO MILLENNIALS e la distopia al giorno d'oggi
Le difficoltà di raccontare il presente in un mondo in continuo cambiamento, in cui l'immaginazione del futuro trova poco spazio.
Chi mi segue da più tempo sa che tra le mie creazioni incompiute c’è DEATH TO MILLENNIALS, un fumetto seriale pubblicato qui su Substack con addirittura una colonna sonora appositamente realizzata episodio per episodio.
La storia, ideata e sviluppata quando ho iniziato a sentire una crescente insofferenza verso i tech-magnati e il loro strapotere (2 anni fa, dannazione) parla sostanzialmente di un gruppo di giovani idealisti che vive nelle remote periferie di Meta Venezia, ripudiando il sistema iper-tecnologico di Nea e dando la colpa della loro situazione ai Millennials, rei di aver adottato le tecnologie degli anni Venti con troppa disinvoltura, e aver aperto così le porte alla tecnodittatura di ZYY, egemone CEO supremo della Dream Eater Corporation.
Il progetto è uno dei miei preferiti, rimasto ad oggi incompiuto per tantissime ragioni, anche se da qualche settimana sento il desiderio di riprenderlo.
Appena riuscirò a sollevare la testa dalle scadenze del mio lavoro diurno e di alcuni lavori su commissione per Mangiasogni andrò avanti con il terzo capitolo, ma proprio durante la fase di sceneggiatura sono sorte delle questioni che vorrei condividere con voi.
Il senso della distopia
Nella sua introduzione a Fahrenheit 451, Neil Gaiman scrive che una delle funzioni della fantascienza è partire dal “Se continua così”, un’ipotesi che “rappresenta un monito e ci consente di esplorare mondi che hanno il valore di avvertimenti”. Non si contano più le opere fantascientifiche/distopiche che partono da questa premessa, prendendo “un aspetto che preoccupa o sembra pericoloso e lo amplia, estrapolando le conseguenze fino a permettere al pubblico di vedere cosa stia succedendo in realtà”.
La distopia racconta il presente a scopo di avvertimento, immaginando un futuro più o meno remoto in cui una tale situazione ha preso una piega così oscura da aver plasmato l’intera società, o da aver reso la vita dei protagonisti un incubo che nessuno di noi vorrebbe vivere.
Direi quindi che gli ingredienti per fare un’opera distopica siano due:
Un aspetto del presente preoccupante e/o pericoloso;
La possibilità di immaginare un futuro sufficientemente lontano in cui ambientare una storia.
DEATH TO MILLENNIALS fa entrambe le cose: vuole avvertire sull’uso fin troppo imprudente della tecnologia contemporanea e i pericoli dell’accentramento in poche mani, e lo fa ambientando il tutto in una Venezia sommersa dell’anno 2051.
Un mondo troppo veloce
A darmi la prima idea per la storia fu la suggestione che circolava all’epoca che Elon Musk, attraverso la sua X, volesse portare in Occidente il primo esempio di super-app: un’app che in realtà ne contiene tante altre, e condiziona moltissimi aspetti della vita dei suoi utenti, traendone enorme profitto.
Nel mondo di DEATH TO MILLENNIALS, la super-app Nea fa esattamente questo. Nea serve a informarsi, intrattenersi con prodotti audio-video, fare pagamenti, il dating, chiamare i soccorsi o la polizia, votare. Tutto.
Oggi, a distanza di 2 anni, non solo ho capito che la vera Nea del nostro mondo è Google, ma per fortuna il movimento di consapevolezza sulla tech-oligarchia si è allargato a dismisura, non facendomi più sentire uno di quelli con la carta stagnola sulla testa quando parlo di queste cose.
Il nuovo scenario rende sicuramente DEATH TO MILLENNIALS un’opera ancora più necessaria e urgente (che l’uso spregiudicato della tecnologia da parte di Millennials e GenZ sia un problema è sempre più chiaro) ma dall’altra parte mi crea un tema: ci sono già tante cose in più da dire.
Sempre più spesso viviamo nella percezione di essere dentro uno scenario distopico, dove le deportazioni di massa e le guerre diventano meme, ogni argomento è a scopo di lucro e interazioni, poche persone detengono un potere che forse non ha avuto eguali nella storia umana, il tutto in un mondo che muta ad una velocità estremamente elevata.
A contribuire alla fortuna di Dick, Orwell, Huxley e altri, c’è stato probabilmente anche il fatto di aver vissuto e scritto in epoche a lenta evoluzione, in cui i cambiamenti - soprattutto tecnologici - sono stati distribuiti nell’arco di decenni, dando la possibilità agli scenari futuri di vivere a lungo.
Ad oggi, già il mondo del 2019 pare un passato lontanissimo. Ogni tanto ripenso al 2012, al 2014, anni intrisi di ottimismo renzista, delle Leopolde, di Farinetti e della start-up economy, e mi sembra di guardare a un universo fantasy fatto di sogni e speranze ormai remote.
Già solo un anno fa non avremmo potuto immaginare ciò che è successo e sta succedendo dopo l’elezione di Trump, e questo ci cala in un contesto in cui fare previsioni - e avvertimenti - è tremendamente difficile, poiché talvolta la realtà supera la distopia.
L’Illuminismo Oscuro
Quando ho iniziato DEATH TO MILLENNIALS nel 2023, la minaccia principale ai miei occhi era l’accentramento tecnologico nelle pochissime mani e lo sfruttamento economico dei più, che si mettono nella condizione di sfruttati in cambio di comfort e vantaggi.
Questo scenario è ancora esistente e forse più attuale che mai, ma lo svelarsi agli occhi di tutti dei tech-oligarchi, ormai senza più filtri né freni, e del rapporto con il potere costituito ha puntato un enorme faro su di loro.
ATTENZIONE: Nelle prossime righe potrei sembrare una qualsiasi persona di destra che parla di Soros
Libri come L’Illuminismo Oscuro di Nick Land, o La fattoria degli umani di Enrico Pedemonte, raccontano di visioni quasi religiose di questi tech magnati e di altri personaggi diventati molto influenti nella nuova Casa Bianca. Curtis Yarvin, Peter Thiel - eminenze grigie di un mondo in cui i sovrani delle piattaforme e la destra autoritaria si influenzano e nutrono a vicenda - si fanno profeti di idee di futuro in cui gli Stati saranno autoritari, guidati da dei Presidenti/CEO che risponderanno solo a dei “consigli di amministrazione” di portatori d’interesse, mentre i cittadini saranno dei semplici clienti, che con le loro tasse pagheranno i servizi offerti dallo Stato/azienda.
Come se questo non fosse già abbastanza inquietante, il carico viene messo da altre linee di pensiero che spalancano le porte alla fantascienza più pura. Con il termine TESCREAL, Emile Torres e Timnit Gebru racchiudono dei movimenti che nel loro insieme hanno una “visione tecno-utopistica di un futuro in cui diventiamo postumani potenziati e immortali, colonizziamo l’universo, creiamo mondi di realtà virtuale dove esistono trilioni di persone digitali”.
Sostenitori di alcune delle teorie contenute nell’acronimo TESCREAL sono anche Sam Altman, Elon Musk, Peter Thiel, personaggi che già oggi hanno un ruolo preminente nella scena economica, politica e tecnologica mondiale.
Distopia e realtà
Per un quadro più dettagliato su queste teorie e i loro seguaci, vi lascio alla lettura dei testi citati. Ho voluto però citare rapidamente questi fenomeni perché ormai il confine tra realtà e fantascienza, tra realtà e distopia, è sempre più eroso e sottile.
ZYY, il lontanissimo e distaccato antagonista supremo del mio DEATH TO MILLENNIALS, nella versione del 2023 era “solo” un CEO che aveva accentrato tutti i poteri immaginabili nella sua App, a cui le persone avevano aderito consapevolmente. Ora che sto riprendendo in mano l’opera nel 2025, dovrei aggiungere elementi di ciò che tutti noi abbiamo imparato su questi tech-magnati. Non solo un distacco alieno, ma un desiderio di dominio, di influenza, di portare la vita umana verso frontiere mai viste della colonizzazione planetaria o della fusione con la macchina, scenari in cui “se anche ci fosse solo l’1% di possibilità che in futuro esistano 10 alla 52esima vite digitali, allora questo varrebbe 100 miliardi di volte più di un miliardo di vite umane”, dove noi, pare, siamo soltanto pedine nel loro schema.
In conclusione, se lo scopo della distopia è quello di avvertire di pericoli presenti usando l’immaginazione di scenari futuri, è probabile che un futuro a così rapida evoluzione e così difficile da comprendere, renda difficile non solo l’immaginazione di un domani positivo, a cui bramare e tendere, ma anche la creazione di avvertimenti che sappiano sopravvivere abbastanza a lungo prima di diventare spaventose realtà.
E a proposito di immaginare il futuro - positivo, in questo caso - vi lascio il mio primo TED, dove parlavo proprio di questo.
Vi ringrazio come sempre per l’attenzione, e se avete piacere di condividere qualche spunto, vi aspetto!
Un abbraccio